Corte costituzionale, 17 gennaio 2025 (ud. 10 dicembre 2024), sentenza n. 2, Pres. Amoroso, Rel. Petitti.
Segnaliamo ai lettori il deposito della sentenza n. 2 del 10 dicembre 2024, con la quale la Corte costituzionale si è espressa in merito alle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di Assise di Cassino in relazione all’art. 438, comma 1-bis, c.p.p., che sancisce il divieto di giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo.
La Corte rimettente era stata chiamata a pronunciarsi sulla responsabilità dell’imputato per il delitto di omicidio, aggravato dall’aver agito per motivi abietti o futili, di cui agli artt. 575 e 577, primo comma, n. 4) c.p., in riferimento all’art. 61, n. 1, c.p., per il quale è prevista la pena dell’ergastolo.
L’imputato, a seguito di notifica del decreto di giudizio immediato, aveva chiesto la definizione del processo nelle forme del rito abbreviato. Tuttavia, la richiesta era stata dichiarata inammissibile dal G.I.P., il quale aveva chiarito che il delitto in questione rientrava tra le ipotesi precluse ai sensi dell’art. 438, comma 1-bis c.p.p. La richiesta veniva quindi reiterata in fase dibattimentale dinanzi alla Corte di Assise, la quale provvedeva a sospendere il giudizio de quo in ragione della presunta rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale. Secondo la Corte rimettente, la disposizione censurata contrasterebbe con gli artt. 3 e 27 della Costituzione per due ordini di ragioni. In primo luogo, perché, secondo la comune interpretazione, l’art. 438, comma 1- bis, riferendosi genericamente ai «delitti puniti con la pena dell’ergastolo», non opererebbe di fatto alcuna distinzione tra fattispecie autonome di reato che prevedono tale pena e delitti per i quali l’ergastolo è conseguenza della contestazione di aggravanti specifiche. Infatti, spiega la Rimettente, «dovrebbe ritenersi irragionevole l’accostamento tra ipotesi di omicidio aggravato e altra fattispecie di reato punita nella sua ipotesi base, con la pena dell’ergastolo, come nel caso del delitto di strage, pertanto accomunare in una medesima norma processuale di sfavore, fatti-reato dissimili e smaccatamente di diversa gravità dovrebbe ritenersi lesivo dei principi di uguaglianza, proporzionalità e finalismo rieducativo della pena».
In secondo luogo, la preclusione prevista dall’art. 438, comma 1- bis, c.p.p., risulterebbe ancor più irragionevole alla luce dell’entrata in vigore dell’art. 442, comma 2-bis, c.p.p., il quale prevede che la pena inflitta debba essere ridotta ulteriormente di un sesto qualora né l’imputato né il suo difensore abbiano proposto impugnazione avverso la sentenza di condanna emessa a seguito di rito abbreviato.
Infine, la disposizione censurata contrasterebbe anche con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., poiché, in base all’attuale formulazione della norma, all’imputato è preclusa la possibilità di accedere al rito abbreviato esclusivamente a causa della contestazione, da parte del Pubblico Ministero di una circostanza aggravante senza un vaglio da parte del Giudice dell’udienza preliminare. Pertanto non sarebbe adeguato il solo controllo effettuato da parte del G.I.P, e ciò in considerazione del fatto che, secondo la rimettente, «la serenità di giudizio del Giudice per le indagini preliminari dovrebbe ritenersi compromessa dalla pregressa conoscenza degli atti assunti in sede investigativa e dall’impossibilità di modificare autonomamente l’imputazione proposta dal pubblico ministero, modificazione consentita invece in sede di udienza preliminare». Le questioni sono state dichiarate infondate.
Quanto alla prima questione, la Consulta ha richiamato la propria ordinanza n. 163 del 1992, nella quale aveva già chiarito che «l’inapplicabilità del giudizio abbreviato ai reati punibili con la pena dell’ergastolo, non è in sé irragionevole, né l’esclusione di alcune categorie di reati, come attualmente quelli punibili con l’ergastolo, in ragione della maggiore gravità di essi, determina una ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli altri reati, trattandosi di situazioni non omogenee».
La Corte ha piuttosto evidenziato come la censura dovrebbe riguardare la scelta legislativa di prevedere la pena perpetua per i reati in questa sede contestati, poiché la preclusione al rito abbreviato è una diretta conseguenza di tale previsione. E ancora, secondo la Consulta, non v’è motivo di ritenere che la disposizione censurata sia irragionevole. Infatti, la scelta legislativa di far dipendere l’accesso al giudizio abbreviato dalla sussistenza di una circostanza ad effetto speciale, «esprime un giudizio di disvalore della fattispecie astratta marcatamente superiore a quello che connota la corrispondente fattispecie non aggravata; e ciò indipendentemente dalla sussistenza nel caso concreto di circostanze attenuanti, che ben potranno essere considerate dal giudice quando, in esito al giudizio, irrogherà la pena nel caso di condanna».
Quanto alla seconda questione, relativa alla riduzione della pena di un sesto in caso di mancata impugnazione, la Consulta ha rilevato che, attraverso il riconoscimento delle attenuanti generiche e le conseguenti riduzioni dovute alla scelta del rito abbreviato, si potrebbe giungere a una pena minima pari a sette anni, nove mesi e dieci giorni, a fronte di una sanzione prevista come perpetua. Una simile possibilità inciderebbe sulla finalità rieducativa della pena, impedendo al condannato di percepire pienamente il disvalore della propria condotta.
Quanto all’ultima questione, relativa al contrasto dell’art. 438, comma 1-bis, c.p.p., con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., la Corte ha ribadito: «la facoltà di chiedere i riti alternativi – quando è riconosciuta – costituisce una modalità, tra le più qualificanti ed incisive (sentenze n. 237 del 2012 e n. 148 del 2004), di esercizio del diritto di difesa (ex plurimis, sentenze n. 273 del 2014, n. 333 del 2009 e n. 219 del 2004). Ma è altrettanto vero che la negazione legislativa di tale facoltà in rapporto ad una determinata categoria di reati non vulnera il nucleo incomprimibile del predetto diritto» (sentenza n. 95 del 2015).
Secondo la Consulta, l’accesso ai riti alternativi costituisce certamente parte integrante del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., tuttavia il legislatore ha previsto ai fini della loro esperibilità la ricorrenza di alcune condizioni. Pertanto, alla luce di quanto statuito dalla sentenza n. 260 del 2020, non può desumersi dall’art. 24 Cost. un diritto di qualunque imputato ad accedere ai suddetti riti alternativi.
La Corte ha quindi chiarito che, in primo luogo, indipendentemente dal rito all’interno del quale è chiamato a pronunciarsi circa le richieste dell’imputato, il Giudice del dibattimento è tenuto ad applicare la riduzione di pena prevista per il rito speciale, qualora all’esito dell’accertamento risultino insussistenti le aggravanti de quo, le quali avrebbero determinato l’applicabilità della pena dell’ergastolo e quindi l’inammissibilità del giudizio abbreviato.
In secondo luogo, la Consulta ha ribadito che la preclusione all’accesso al rito alternativo dipende soltanto nella fase iniziale dalla valutazione del Pubblico ministero, sull’oggetto della contestazione. Tale valutazione è poi oggetto di puntuale vaglio da parte dei giudici che intervengono nelle fasi successive del processo, ed è sempre suscettibile di correzione, quanto meno nella forma del riconoscimento della riduzione di pena connessa alla scelta del rito, come accade rispetto a ogni altro rito alternativo» (sentenza n. 260 del 2020). Tale conclusione si applica anche nell’ipotesi di giudizio immediato: l’art. 458 c.p.p. demanda al Giudice per le indagini preliminari di decidere, in camera di consiglio, sulla richiesta di giudizio abbreviato avanzata dall’imputato.
Infine, la Corte ha precisato che, nel corso della camera di consiglio può trovare applicazione la disciplina di cui all’art. 438, comma 6-ter c.p.p., la quale dispone che, qualora la richiesta di giudizio abbreviato sia stata dichiarata inammissibile, il Giudice, se all’esito del dibattimento ritiene che per il fatto accertato sia ammissibile il giudizio abbreviato, applica la riduzione della pena ai sensi dell’articolo 442, comma 2. In ogni altro caso in cui la richiesta di giudizio abbreviato proposta sia stata dichiarata inammissibile o rigettata, l’imputato può riproporre la richiesta prima dell’apertura del dibattimento e il giudice, se ritiene illegittima la dichiarazione di inammissibilità o ingiustificato il rigetto, ammette il giudizio abbreviato.