Corte costituzionale, 1° luglio 2025 (ud. 11 giugno 2025), sentenza n. 90 – Presidente Amoroso, Relatore Marini
Segnaliamo ai lettori la sentenza 90 del 2025, depositata il 01 luglio 2025, con la quale la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 168-bis c.p., nella parte in cui non consente la sospensione del procedimento con messa alla prova per il delitto di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti, di lieve entità, previsto dall’articolo 73, comma 5, del d.p.r. n. 309 del 1990 (T.U. stupefacenti).
La questione di legittimità è scaturita da due ordinanze emesse dai Tribunali di Padova e Bolzano, investiti di procedimenti penali aventi ad oggetto episodi di cosiddetto “piccolo spaccio” , nei quali gli imputati — giovani e incensurati — avevano formulato istanza di accesso all’istituto della messa alla prova. Tuttavia, l’innalzamento del limite edittale massimo a cinque anni di reclusione, disposto dal decreto-legge n. 123 del 2023 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 159 del 2023, cd. “decreto Caivano”), ha comportato l’automatica esclusione di tale fattispecie criminosa dall’ambito applicativo dell’istituto di cui all’art. 168-bis c.p., il cui presupposto oggettivo è rappresentato da reati puniti con pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni.
I giudici a quibus hanno censurato detta preclusione automatica, prospettando la violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, sotto i profili dell’irragionevolezza normativa, della disparità di trattamento e dell’incidenza negativa sul principio rieducativo della pena. In particolare, è stata posta in luce l’asimmetria rispetto all’ipotesi di istigazione all’uso illecito di sostanze stupefacenti (art. 82, comma 1, del T.U.), la quale, pur prevedendo una sanzione edittale più elevata (fino a sei anni di reclusione), rientra tra i reati per i quali è possibile l’ammissione alla messa alla prova in forza del rinvio contenuto nell’art. 550, comma 2, c.p.p.
In sede di giudizio, la difesa ha altresì sottolineato il difetto di coerenza sistemica della novella sanzionatoria introdotta dal decreto Caivano, originariamente concepita per fronteggiare il fenomeno della delinquenza minorile, ma applicabile nei fatti solo nei confronti di soggetti adulti, come nel caso di specie.
Nel merito, la Corte ha accolto parzialmente le questioni sollevate, dichiarando incostituzionale la norma limitatamente alla parte in cui non consente la sospensione del procedimento con messa alla prova per il reato di lieve entità previsto dall’art. 73, comma 5, T.U. stupefacenti, mentre ha ritenuto inammissibili o infondate le ulteriori doglianze. Secondo la Consulta, la disparità di trattamento rispetto alla fattispecie di istigazione all’uso di stupefacenti risulta priva di una giustificazione razionale, attesa la sostanziale affinità delle due condotte incriminate quanto al bene giuridico protetto (la salute pubblica) e alla natura di reati di pericolo astratto.
La Corte ha riaffermato la natura premiale e rieducativa dell’istituto della messa alla prova, che costituisce una valida alternativa al giudizio penale, offrendo all’imputato la possibilità di intraprendere un percorso trattamentale e di reinserimento sociale mediante lo svolgimento di attività riparative e lavori di pubblica utilità, con la prospettiva dell’estinzione del reato in caso di esito favorevole. L’esclusione del reato di piccolo spaccio, sovente episodico e comunque meno grave rispetto ad altre fattispecie analoghe, è stata dunque ritenuta irragionevole e pregiudizievole anche rispetto agli obiettivi deflattivi del processo penale.