Corte costituzionale, 3 luglio 2025 (ud. 7 maggio 2025), sentenza n. 95 – Presidente Amoroso, Relatore Viganò

Con la sentenza n. 95 del 2025, depositata in data odierna, la Corte costituzionale ha rigettato le questioni di legittimità costituzionale sollevate, tra gli altri, dalla Corte di cassazione e da numerosi giudici di merito, in relazione all’abrogazione del delitto di abuso d’ufficio, disposta con la legge n. 114 del 2024.

La Consulta ha in primo luogo riconosciuto l’ammissibilità delle censure formulate ai sensi dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, in riferimento agli obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata a Mérida nel 2003 e ratificata dall’Italia con legge n. 116 del 2009. Secondo la giurisprudenza costituzionale, infatti, qualora un trattato internazionale imponga allo Stato l’introduzione di una specifica fattispecie incriminatrice, l’eventuale abrogazione di tale reato da parte del legislatore interno potrebbe dar luogo a una violazione costituzionale, con conseguente declaratoria d’illegittimità e ripristino della precedente disciplina normativa.

Nel merito, tuttavia, la Corte ha escluso che dalla Convenzione di Mérida possa desumersi un obbligo per gli Stati aderenti di tipizzare penalmente la condotta di abuso d’ufficio nella forma prevista dall’ordinamento italiano. La normativa convenzionale, infatti, non impone in modo vincolante l’introduzione di tale specifico reato e, del resto, non tutti gli Stati firmatari hanno previsto nei rispettivi ordinamenti una fattispecie omologa.

Quanto alle ulteriori doglianze prospettate dai giudici rimettenti in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione — relative, da un lato, alla presunta irragionevolezza della scelta legislativa di non sanzionare penalmente condotte di particolare disvalore, e dall’altro, al supposto vulnus dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione — la Corte ne ha dichiarato l’inammissibilità. Tale conclusione si fonda sull’orientamento consolidato della giurisprudenza costituzionale, che esclude la possibilità di accogliere questioni di legittimità che, se ritenute fondate, si risolverebbero in una “interpretatio in malam partem”, ossia in un’estensione dell’area della punibilità, in contrasto con il principio di legalità penale.

La Corte ha infine chiarito che la valutazione circa l’efficacia complessiva del sistema di tutela penale, dopo l’abrogazione del delitto di abuso d’ufficio, non rientra nelle proprie attribuzioni. Tale valutazione, ha sottolineato la Consulta, appartiene esclusivamente alla responsabilità politica del legislatore, la cui discrezionalità non può essere sindacata dal giudice delle leggi in assenza di una lesione effettiva e comprovata dei parametri costituzionali o convenzionali invocati.

In conclusione, pur riconoscendo le criticità legate alla riforma, la Corte ha riaffermato la legittimità della scelta abrogativa operata dal legislatore e l’assenza di vincoli sovranazionali che imponessero il mantenimento della fattispecie incriminatrice soppressa.

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Rivista quadrimestrale di scienze penalistiche
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